Presenti già 20.000 anni fa e poi nel paleolitico, neolitico e in seguito nell’area moderna, le popolazioni indigene del Perù rappresentano uno degli insediamenti più antichi e consistenti di tutto il nuovo mondo.
Si calcola che all’epoca di Pizarro, più o meno intorno alla metà del XVI secolo, le popolazioni amerinde del paese (anche se il Perù di allora aveva un’estensione molto più vasta di quello odierno), raggiungessero la considerevole cifra di 7-8 milioni di abitanti. A seguito della conquista si verificò una drastica riduzione della popolazione, anche a causa delle nuove malattie importate, tanto che in pochi anni il numero degli indigeni scesa intorno ai 2 milioni di individui.
Da questo momento inizia un lento processo di ripopolamento che vede come protagonisti non solo e non più gli indigeni amerindi, ma insieme a loro i colonizzatori venuti dalla Spagna e dall’Europa, i blancos, che progressivamente spostano il baricentro dell’attività politica, economica, culturale e sociale, dall’alta sierra alla costa, vicini al mare dove si sentono più sicuri, più protetti da un habitat che conoscono meglio (molti dei colonizzatori sono marinai o abitanti delle coste spagnole e in ogni caso hanno una dimestichezza col mare).
In maniera graduale ma costante gli amerindi e gli europei si incrociano, la popolazione aumenta sino a raggiungere nel 1940 lo stesso livello dell’epoca dei conquistadores, per poi subire un’impennata e un’accelerazione che dura ancora oggi, con una triplicazione degli abitanti in soli 50 anni. Oggi si calcola che nel paese la popolazione residente sia suddivisa etnicamente secondo queste percentuali: bianchi e meticci circa il 55%, prevalentemente, se non quasi esclusivamente, dislocati sulla costa, nelle oasi produttive e nelle grandi città; indigeni 45%, suddivisi in Quechua, la maggioranza, Aymara, quasi esclusivamente dislocati sulla sierra andina nella zona di Puno; indios dell’Amazzonia e altre minoranze.
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